Sinassario

Elia, il cui nome significa «il mio Dio è Jahvè», nacque verso la fine del X sec. a.C. a Tebe, o Tisibe, una città della Transgiordania, sotto il regno di Acab (869-850), re dell’Israele del Nord. Secondo la tradizione ebraica Elia era un uomo di solitudine e di austerità, discendente da una famiglia sacerdotale, che vestiva di una tunica di pelle di pecora e una cintura di pelle attorno ai fianchi. Profetizzò contro il re Acab che aveva imposto il culto cananeo del dio Baal, annunciargli come castigo tre anni di siccità. Abbattutosi il flagello, Elia ritornò dal re e per dimostrare la falsità degli idoli cananei lanciò un'imponente sfida sul monte Carmelo contro 400 profeti di Baal, uscendone vittorioso.

Alla fine dei suoi giorni, mentre stava conversando con il suo discepolo Eliseo, Elia fu rapito su un carro di fuoco e portato in cielo. Secondo il profeta Malachia (Malachia 3:23-24), Dio lo manderà «[...] prima che giunga il giorno grande e terribile del Signore, perché converta il cuore dei padri verso i figli e il cuore dei figli verso i padri;[...]», cioè, prima della seconda venuta del nostro Salvatore Gesù Cristo.

Vangelo

Luca 4,22-30

Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!». Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.

Epistola

Giacomo 5,10-20

 Prendete, o fratelli, a modello di sopportazione e di pazienza i profeti che parlano nel nome del Signore.  Ecco, noi chiamiamo beati quelli che hanno sopportato con pazienza. Avete udito parlare della pazienza di Giobbe e conoscete la sorte finale che gli riserbò il Signore, perché il Signore è ricco di misericordia e di compassione.
 Soprattutto, fratelli miei, non giurate, né per il cielo, né per la terra, né per qualsiasi altra cosa; ma il vostro «sì» sia sì, e il vostro «no» no, per non incorrere nella condanna.
 Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi.  Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore.  E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati.  Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza.  Elia era un uomo della nostra stessa natura: pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi.  Poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto.  Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce,  costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati.